martedì 24 luglio 2007

In un altro paese...


Ieri sera su Rai3 (tanto per cambiare) è andato in onda "In un altro Paese", documentario sulla storia del maxiprocesso di Palermo condotto da Falcone e Borsellino.
Il documentario aveva questo titolo per il motivo che vi racconto. Nel 1987 il maxiprocesso portava a 360 condanne, 19 ergastoli e 2665 anni di carcere totali. Falcone e Borsellino avevano vinto. Ecco il motivo del titolo della trasmissione.
In un altro paese, questi due grandi uomini sarebbero stati innanzitutto elevati ad eroi nazionali e soprattutto messi nelle condizioni di portare a termine il lavoro, estirpare definitavamente il cancro mafioso. Questo in un altro paese. Nel nostro, un giudice ammazza-sentenze cancella in appello decine di condanne su commissione di un politico corrotto (che secondo la mafia non fece un ottimo lavoro e infatti lo giustiziò qualche anno dopo). Nel 1989 solo 60 imputati rimasero dietro le sbarre. Falcone e Borsellino furono lasciati soli, ma nonostante tutto, riuscirono a ribaltare numerose sentenze d'appello e a riportare all'Ucciardone tanti mafiosi scarcerati in secondo grado. Il resto, però, è storia nota a tutti.
Questo è quello che successe nel nostro paese.
Ora voglio fare un bel sogno, voglio immaginare cosa sarebbe successo... in un altro paese.
Su tutti i giornali Falcone e Borsellino furono elevati ad eroi nazionali. Il Presidente della repubblica li ricevette a palazzo e gli consegnò la medaglia d'oro al valor civile. Poi vennero rimandati a Palermo e il pool antimafia riprese a lavorare. L'esercito nazionale di questo altro paese presidiò tutta l'isola in cui risiedevano le cosche mafiose e i due magistrati furono protetti a vista da squadre antiterrorismo. Il lavoro del pool continuò, per i 300 carcerati venne garantito l'ergastolo anche nei successivi gradi di giudizio e soprattutto, il legame tra politica e mafia venne scoperto e interrotto, consegnando alla giustizia i politici corrotti. Dopo tutto questo Giovanni Falcone e Paolo Borsellino furono eletti Presidente del Consiglio Superiore della Magistatura e Ministro della Giustizia da un parlamento ripulito definitivamente dalla mafia e dalla corruzione.
Ecco cosa successe
In un altro paese.

lunedì 9 luglio 2007

Quei secondi lunghi una vita...


Erano circa le 23 di una serata di Luglio, Fabio Grosso chiudeva gli occhi e pensava. E con lui pensava tutta l'Italia. Pensava ad Aldo Serena che si fa parare il rigore da Goigoechea a Napoli, a Roby Baggio che calcia nel cielo l'ultimo pallone di Pasadena, a Gigi Di Biagio che stampa sulla traversa l'ultimo rigore di Parigi, al golden gol di Ahn e a Byron Moreno, a quante cose pensava l'Italia. Ma la Storia stavolta doveva cambiare. Fabio Grosso finalmente apre gli occhi, secondi che sono sembrati anni. Solo il fischio dell'arbitro rompe il silenzio di una nazione. Una nazione che ha un sacco di problemi, la disoccupazione, il caro-euro, la mafia, l'inquinamento e migliaia di altre cose che la dovrebbero tenere lontana dal calcio. Ma non si può. O per lo meno non si può in quel momento. Fischia l'arbitro. E Fabio Grosso assume le sembianze di Mario Rossi, di Luca Bianchi, del signore al piano di sotto, del panettiere, dell'operaio, dell'avvocato, del meccanico, della cassiera dell'esselunga, dell'impiegato del comune, del postino, del sindaco, del barista che domani mattina ti farà il caffè. E questa moltitudine di esseri reincarnata in Fabio Grosso inizia a correre e fissa il pallone. Lo raggiunge. E calcia forte. Gli occhi ora sono spalancati abbastanza da vedere che la traiettoria è buona e che Fabian Barthez sta volando tutto da un'altra parte. Dai pallone, ancora pochi metri e poi puoi fare quello che vuoi della tua vita. Ma per questi pochi metri comportati bene. Obbedisce il pallone. E gonfia la rete di uno stadio di Berlino. Il silenzio si rompe. Aldo Serena, Roby Baggio e Gigi Di Biagio sono vendicati. La Storia ha fatto il suo corso. Campioni del Mondo. Campioni del Mondo. Campioni del Mondo. Campioni del Mondo.
Si può uscire ora, il tricolore può essere sventolato. Marco Tardelli ha smesso di correre e urlare dopo 24 anni. Riposa Pertini e il suo "ora non ci prendono più" sussurrato al Re di Spagna. Smettono di correre anche Pablito Rossi e Bruno Conti. Ora possono tutti stare tranquilli nell'olimpo. Ci sono uomini nuovi ora che corrono, speriamo, che non lo debbano fare anche loro per altri 24 anni.