martedì 1 aprile 2008

Il non pallone


Un'altra domenica di non-calcio. Un'altra conferenza stampa. Un'altra partita rinviata. Un'altra rincorsa a chi la spara più grossa. Un'altra ricerca di chi ha ragione. Hanno ragione tutti. Ha ragione chi dice che non bisognava giocare, per rispetto delle famiglie. Ha ragione chi dice che bisognava giocare, perchè è stato un incidente che non c'entra nulla col calcio. Ha ragione il Palazzo, che dice che la legge c'è e va applicata. Ha ragione chi dice che bisogna vietare le trasferte. Ha ragione chi dice che bisogna chiudere il campionato. C'è stato un tafferuglio in autogrill, no non c'è stato, è stato un incidente, l'autista non l'ha visto. Così come un "girone" fa. Il poliziotto ha sparato in aria, no è inciampato, no aveva le braccia tese, avevano le catene, stavano scappando. La verità è meglio non farla uscire. E' meglio fare milioni di ipotesi, di processi, di appelli. E' meglio un ex-prefetto che chiude una curva per un vetro rotto, ma difende chi ha messo a ferro a fuoco una città intera. E' meglio non obbligare le società di calcio a garantire la sicurezza negli stadi e a gestire le trasferte.
E' meglio farlo fare allo Stato. Almeno, visto che hanno ragione tutti, c'è quantomeno uno che ha torto.

lunedì 17 marzo 2008

Free Tibet


Il Buddhismo è una delle poche religioni che non hanno mai creato guerre, non hanno invaso territori non hanno scatenato attentati. E' una vera religone di Pace. Non è una religione d'attacco, è una religione che si difende. Si difende dal 1950 dall'attacco del governo cinese. Unmilioneduecentomila tibetani uccisi durante la rivoluzione culturale. Migliaia di monasteri distrutti. Nonostante questo, il Dalai Lama non richiede più l'indipendenza, ma solo un'autonomia della regione del Tibet e il rispetto dei Diritti Umani. Si è limitato a descrivere i fatti in due parole: genocidio culturale.
Nel frattempo a Roma, la massima autorità della più grande religione monoteista del mondo lanciava un appello per fermare le violenze in Iraq, dimenticandosi della repressione di Lhasa. Molto più politically correct parlare di Iraq. Molto più spinoso fare un piccolo riferimento ai massacri dei monaci tibetani. "Mancano notizie certe" ha risposto il Vaticano. Forse vogliono vedere il cadavere di un monaco altrimenti non ci credono.
Il Dalai Lama è venuto in Italia e non è stato ricevuto da nessuna autorità politica. Nè di destra, nè di sinistra, nè di centro. Nessun politico fa cenno alla vergognosa repressione perpetrata dal governo cinese. Tutti impegnati a fare dollari con la Cina, a sponsorizzare le olimpiadi. Bush si è limitato a dire di evitare l'uso della forza. Lui. E' come se Riina va in questura a denunciare il furto della bicicletta.

Il Dalai Lama dal canto suo non ha nemmeno appoggiato il boicottaggio delle olimpiadi. Questo è un vero uomo di pace, insignito del Premio Nobel per la pace nel 1989. Ma nessuno se lo ricorda. Politici, Presidenti, Papi. Meglio parlare di Iraq.

sabato 23 febbraio 2008

La rabbia


La rabbia è un sentimento antico, primordiale. Da quando esiste, l'uomo si è sempre incazzato. Vagando qua e là sui siti di psicologia trovo che per la maggior parte delle teorie la rabbia rappresenta la tipica reazione alla frustrazione e alla costrizione, sia fisica che psicologica. Bene. Grazie a queste poche parole ho compreso l'origine della mia rabbia. La rabbia che mi pervade accendendo quel maledetto rettangolo di trentadue pollici di diagonale. E' colpa della costrizione fisica e psicologia di vedere che le parole dette in campagna elettorale sono le stesse del 2006. Che erano le stesse del 2001. Che erano le stesse del '96. Che a loro volta erano le stesse del '94. Mi fermo qui, perchè prima ero un adolescente privo di rabbia. O quantomeno privo di questo tipo di rabbia. E non sono solo le parole a ripetersi. Anche le facce sono le stesse. Sono sempre loro che ripetono le stesse cose, con le stesse parole. Salari più alti, aiuti alla ricerca, certezza della pena, snellimento della burocrazia, sviluppo del mezzogiorno. Le solite ovvietà. Programmi che sembrano fotocopiati. Nessuno che usa nuove parole. Nessuno che parla di telelavoro, di rifiuti zero, di alternative all'incenerimento dei rifuti. Nessuno che parla di wi-max. O meglio nessuno che parla di wi-max pubblico e non privato. Poi quando sono stufi delle ovvietà allora dicono cazzate che non stanno nè in cielo nè in terra. Nel programma del Partito Democratico c'è scritto testualmente: modernizzare l'Italia significa scegliere come priorità le infrastrutture e la qualità ambientale[...].Sì agli impianti per produrre energia pulita, ai rigassificatori, ai termovalorizzatori[...]. Migliorare la qualità ambientale con i termovalorizzatori è un ossìmoro. Da wikipedia: L'ossimoro è una figura retorica e consiste nell'accostamento di due termini in forte antitesi tra loro. Esempi: brivido caldo, lucida follia, urlo silenzioso, disgustoso piacere, l'uomo nudo con le mani in tasca, ghiaccio bollente, attimo infinito, silenzio assordante. Ecco, possiamo aggiungere energia pulita con i termovalorizzatori. I termovalorizzatori, meglio e più propriamente noti come inceneritori, l'unica cosa che producono sono i tumori. Ma c'è chi afferma il contrario. E chi afferma il contario è stato candidato dal Partito Democratico e in caso di vittoria sarà quasi sicuramente Ministro della Salute. Questa gente è candidata a fare il Ministro della Salute, questa gente qui, invece, è costretta ad arrangiarsi su internet per gridare il proprio allarme.
Per la cronaca, il programma del Pdl, o come cxxxo si chiama, non voglio nemmeno leggerlo, uno perchè tanto è uguale a quello del Pd, due perchè il mio stomaco è forte, ma non voglio portarlo al limite.
La mia rabbia poi aumenta se vado per strada. Aumenta guardando la rassegnazione della gente che si autocondanna al "tanto sono tutti uguali", "chiunque vinca non cambia niente". No, io non voglio rassegnarmi. Dev'esserci una soluzione, un modo per cambiare realmente le cose. E allora lo cerco. Lo cerco sui blog, su youtube, sui forum. Lo cerco nel confronto diretto con le persone, senza intermediari corrotti di mezzo. Lo cerco nella tecnologia che mi permette di discutere di soluzioni nuove con qualcuno che sta a cento, mille, diecimila chilometri da qui. E allora provo a sentire che l'aria è diversa, che le parole non sono più le stesse, che c'è un minimo di entusiasmo. Poi però ho quella sensazione che la soluzione è pressochè irraggiungibile. Che è lontana. Che ti vengono messi i bastoni tra le ruote pur di evitare di discutere, di confrontarsi. Che l'entusiasmo è drogato e sedato dalla televisione, dal calcio, dai reality show, dai culi delle veline, dalle macchine dei calciatori, dal gossip della domenica. E allora, inizi forse a capire che hanno ragione quelli del "tanto sono tutti uguali". Da una parte rassegnato, dall'altra euforico e ansioso di reagire. E il risultato è un'unica,
ribollente, vulcanica, traboccante... rabbia.

martedì 19 febbraio 2008

Il prodotto


Nello scorso weekend, tutti gli appassionati di calcio (ma anche quelli a cui il calcio proprio non interessa) hanno assistito al primo esperimento di quello che è stato battezzato, dalla nostra fantasiosa stampa, "lo spezzatino". Lo spezzatino consiste nel far giocare le partite della giornata in giorni e orari diversi in modo da non sovrappore due gare di cartello. Il riusltato del primo esperimento è stato: il sabato Livorno-Inter alle 16, Milan-Parma alle 18, Juve-Roma alle 20.30. Tutto il resto Domenica alle 15. L'amministratore delegato del Milan ed ex Presidente della Lega Calcio Adriano Galliani si è detto favorevole allo spezzatino, perchè valorizza "il prodotto". Già, il prodotto. Per il Signor Galliani il calcio è diventato un prodotto. Una merce. Un bene di consumo. Non voglio fare il moralista. Galliani mangia con il calcio. E mangia grasso. Però, ci sono quelli come me, per cui il calcio è ancora passione. Passione Signor Galliani. Ci sono quelli a cui del suo prodotto non frega proprio niente. Siamo in tanti. Siamo quelli a cui non importa niente degli anticipi, dei posticipi, delle plusvalenze, del G14. Quelli che l'abbonamento a SKY l'hanno fatto proprio perchè senza non ce la fanno. E perchè allo stadio... una volta... ora è sempre pù dura. Quelli che il calcio è "scusa Aimeri sono Ciotti e intervengo dall'Olimpico per segnalare che la Juventus è passata in vantaggio grazie ad una splendida punizione di Platini." Quelli che le partite si giocano alle due e mezza di inverno e alle quattro in primavera. Quelli che i gol si vedono alle sei a novantesimo minuto e che al massimo alle otto su RaiDue si vedono un tempo della partita più bella. Quelli che la moviola ce l'ha solo Carlo Sassi alla Domenica Sportiva. Quelli che gli stranieri del Milan sono Hatley e Wilkins, della Juve Platini e Boniek, dell'Inter Rumenigge e Diaz. Ci sono quelli che il 99 sulla maglia non lo sopportano. I titolari vanno dall'uno all'undici e i panchinari dal dodici al sedici. E il numero 1 e il numero 12 sono i portieri. Ci sono quelli che il 2 e il 3 sono i terzini e il 7 e l'11 sono le ali. Non gli esterni alti e bassi. Caro Galliani ci siamo anche noi. Tu parli di prodotto. Il tuo prodotto fa profitto. Tu ti emozioni davanti ai proventi del merchandising e dai premi UEFA. Noi no. Noi ci emozioniamo ancora per altro. Un po' meno rispetto al passato, perchè il prodotto, tra l'altro, diventa sempre più scadente. Ma ancora ci emozioniamo davanti alle giocate di Ibrahimovic, alle accelerazioni di Kakà, alla follia di Cassano, all'eternità di Del Piero e Maldini. Ce la stai mettendo tutta, tu e i tuoi colleghi a farci smettere di emozionare. E' una battaglia aperta. Da una parte ci siamo Noi, dall'altra il tuo prodotto. Non so chi la vincerà. Ma onestamente sono abbastanza pessimista.

domenica 10 febbraio 2008

Occhi bassi


Nell'ultima puntata di AnnoZero ho assisito allo spettacolo più triste della politica italiana. Ma uno spettacolo che allo stesso tempo disegna la realtà della politica di oggi. Una politica distante, incapace di guardare negli occhi la gente. Oscar è un ragazzo della mia età. Abita alle White, palazzine costruite in amianto in un quartiere di Rogoredo, periferia sud-est di Milano. Oscar prende la parola. Il Senatore Colombo ha appena concluso una lunga dissertazione sulla tinta e sulla vecchiaia di Berlusconi. "L'altro giorno un altro nostro amico si è ammalato. Tre tumori. Uno al cervello, uno al testicolo e uno al polmone. Quanto guadagni te? Diecimila euro al mese? E parli della tinta di Berlusconi." Esordisce così Oscar. Capelli rasati, tatuaggi. E' un crescendo di rabbia. Rabbia che gli leggi negli occhi. E continua. "Fosse per me, tutti a calci nel culo". "Si lamentano che la gente va a rubare. E grazie al cazzo". "Non ci sono i soldi per smantellare l'amianto dalle White. Duemila euro te li togli tu, duemila euro se li toglie lei, duemila euro tu, duemila euro altri venti stronzi e togliamo l'amianto, così magari non si ammala più nessuno." C'è una cosa che fa davvero impressione. Ed è il triste spettacolo che dicevo prima. La Signora Prestigiacomo, l'Onorevole Franceschini, il Senatore Colombo hanno gli occhi bassi. Nessuno ha il coraggio di guardare Oscar negli occhi. Oscar cerca i loro sguardi, li provoca. Non ha risposta. Solo dopo che Santoro ha dato la pubblicità, che gli animi si sono calmati, Franceschini prova a rispondere. Cerca di usare il suo linguaggio. "Non si può sempre buttare merda sulla politica". La Prestigiacomo, che era stata a dir poco disarmante fino a cinque minuti prima, si difende. "Sono una madre che lavora lontano da casa e ho combattuto la criminalità organizzata". Ora non serve più a niente. Anzi, potevano risparmiarsi l'ennesima figura di merda. Per una volta, una sola volta non servivano parole. Bastava uno sguardo. Bastava guardare Oscar negli occhi. Gli occhi di un ragazzo che ti sta raccontando una tragedia che non dovrebbe esistere nel ventunesimo secolo, in un paese che fa parte del G8. Ma la nostra politica, ha vergognosamente deciso di reagire così. Con gli occhi bassi.




lunedì 4 febbraio 2008

Nuovi libri di testo


Forse è giunto il momento di cambiare i testi da studiare a scuola. Forse è ora di dare un taglio qua e là, magari a Dante, a Petrarca, a Boccaccio, con tutto rispetto per carità. "Rifilare" un po' Manzoni, un po' Leopardi, un po' Montale, e magari ricavare da questi tagli qualche mese per dare un po' di modernità al novecento. Montanelli, De Andrè, Gaber. Ecco proprio di Gaber volevo parlare. Anzi, non mi sento nemmeno di parlare. Io che l'ho "conosciuto" dopo la sua morte, non voglio fare quello che lo seguiva da una vita (anche perchè quando lui ha inziato io non c'ero). E visto che non posso parlarne, vorrei far parlare lui. Lo so, lo hanno già fatto su milioni di blog sparsi per la rete, ma io voglio farlo anche sul mio. Non per moda, ma per convinzione nell'attualità delle parole. Parole che magari copiate e incollate risulterebbero noiose. E allora, ve le faccio dire direttamente da lui. Se avete dieci minuti di tempo, del vostro tempo, per una riflessione. Vi assicuro che saranno dieci minuti spesi bene. Ciao Signor G, continua a filosofare anche da lassù.

martedì 29 gennaio 2008

Quella notte...


Era la notte del 10 aprile. Il pomeriggio era volato via presto, troppo presto. I primi exit-poll prospettavano una vittoria storica. 4, 5, 7, 10 punti percentuali. Maggioranza larga che permette la costruzione di un governo forte che mai sarà tenuto in scacco dai capricci di qualcuno. Poi i numeri si andavano via via snocciolando, la famosa "forbice" si restringeva sempre di più. Non pareva nemmeno possibile. Va bene la "burloneria" degli italiani di fronte agli exit-poll, ma sbagliare di 7 punti è qualcosa di impensabile. E così, con lo champagne rimesso in fresco in fretta e furia era arrivata la notte. Ricordo lo zapping frenetico davanti ad un quattordici pollici. Mentana, Vespa, Fede. No Fede no. Fede era davvero troppo. E' stata forse una delle notti più confuse della politica italiana. Ad un certo punto c'erano due vincitori e nessun vinto. La torta era divisa perfettamente a metà alla Camera, un pugno di voti avrebbe deciso il premio di maggioranza. Al Senato stava andando ancora peggio. Il premio di maggioranza su base regionale prospettava una vittoria (da una parte o dall'altra) di un paio di Senatori, addirittura divennero decisivi i voti degli italiani all'estero. Poi con la Camera "assegnata" al centrosinistra per soli ventiquattromila voti e con il Senato che invece era momentaneamente al centrodestra (in vantaggio di un Senatore, ma senza contare i voti degli italiani all'estero), Vannino Chiti, l'addetto stampa della segreteria dei Democratici di Sinistra annuncia una dichiarazione di Piero Fassino. Quelli, sono secondi che ho davanti come se li stessi vivendo ora. Giacca grigia, volto che non traspare emozioni, accento torinese: "Sulla base dei dati a noi pervenuti, dichiariamo che il Centrosinistra ha vinto le elezioni". Stop. Scajola gridò al golpe (esagerato) mentre in Piazza Santi Apostoli scoppiò la festa. Prodi salì sul TIR giallo e la "Canzone Popolare" risuonò nel cielo di Roma. Ricordo i brividi di quel momento. E' fatta Professore. Li abbiamo mandati a casa. E il Senato? Mi rispondo: va bene che i politici italiani non sono degli scienziati, ma se uno fa una dichiarazione del genere è perchè è consapevole che il voto degli italiani all'estero è favorevole. Era notte fonda ormai, ma nessuno voleva riconoscere la sconfitta. Finalmente schiacciai il tasto rosso del telecomando. Buona notte. Certo nessuno immaginava cosa sarebbe successo i giorni a venire. Proclami di brogli. Riconteggi. Richieste di governo di larghe intese (il famoso modello tedesco). Ma il Professore tirò dritto per la sua strada. Ma già dai primi vagiti di quel governo tutta Italia capì quale sarebbe stata la sorte dell'esecutivo: vivere con i ricatti di uno e dell'altro, pena la mancanza di maggioranza. Certo io ci speravo in questo governo. Mi autoconvinsi della maturità dei nostri Parlamentari. Ma, ahimè, qualche giorno dopo... L'elezione del Presidente del Senato, i "pizzini" con il nome di Francesco Marini (anzichè Franco), le mille votazioni per l'elezione del Capo dello Stato. Poi la presentazione della squadra di Governo. Di Pietro senza Ministero della Giustizia che invece viene assegnato a Mastella. Ecco qua Professore, la frittata è fatta. Da quel momento ho smesso di crederci. E infatti arrivò l'indulto, arrivarono le indagini tolte a De Magistiris e Clementina Forleo, arrivarono le azioni disciplinari del CSM contro questi magistrati che non si piegano al volere della politica. E allora non vale più la pena di crederci. Di sperare che sia la volta buona, di veder ripartire un paese allo sbando. Dove non c'è più certezza, non c'è più legalità, non c'è rispetto per l'ambiente, non c'è tecnologia. Ecco, quella notte speravo che il governo avesse parlato di queste cose. Di ambiente, di legalità, di certezza della pena, di lavoro, di tecnologia. Oggi scompare tutto quello che avevo sognato quella notte. Vedo gli assurdi trionfalismi "dell'altra parte", sento parlare di mettere a posto ciò che il centrosinistra ha sfasciato, come se "loro" non fossero stati al governo per cinque lunghi anni. Vedo la solita condanna di scegliere sempre il meno peggio. Ora non so cosa accadrà. Forse ci sarà il governo ponte, il cambio della legge elettorale. Di sicuro prima o poi ci sarà una nuova campagna elettorale, nuovi sondaggi, nuovi exit-poll e una nuova lunga notte. Ma ormai, a meno di miracoli, non esisteranno più i sogni di "Quella Notte".